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  • Immagine del redattoreFlorin Madarjac

L'essere orfani nella letteratura per ragazzi: una lettura psicoanalitica della mancanza.

Aggiornamento: 12 apr 2020


La letteratura per l’infanzia, e in generale quella di formazione, sembra preferire la figura dell’orfano come protagonista dei propri racconti o romanzi. Gli esempi che si possono fare sono parecchi e spesso rientrano nei maggiori capolavori a livello letterario per quanto riguarda questo genere, e non solo. La struttura dei romanzi è spesso tradizionale e ricorda molto la fiaba - su quest’ultima gli psicoanalisti si sono concentrati per individuarne la capacità educativa e formatrice a lungo – con il proprio eroe e il caratteristico antagonista. Partendo da una lettura più profonda e psicoanalitica di alcune di queste storie possiamo capire quanto le figure genitoriali siano indispensabili per la formazione di una vita e di un psiche in salute.


OLIVER TWIST


Ci troviamo fra il 1837 e il 1839, intervallo di tempo in cui Charles Dickens era impegnato a pubblicare a puntate sulla rivista “Bentley’s Miscellany” il celebre romanzo “Oliver Twist”, e la cultura dell’epoca si imbatte nella storia di un ragazzo orfano, successivamente vedremo di cosa lo sia realmente, che è costretto a subire diverse offese e angherie da parte di personaggi secondari appartenenti, come era definita all’epoca, alla working class, ovvero il ceto più degradato a livello sociale. Tralasciando la storia in sé e la conclusione a lieto fine tipico della Victorian Age, movimento artistico e culturale vigente all’epoca, possiamo notare la grande denuncia sociale all’interno dalle descrizioni delle condizioni di vita di questo ceto popolare e dello stesso Oliver Twist, orfano sì di padre e madre, ma soprattutto di una società che non gli ha garantito quei diritti che verranno sanciti come legge dall’UNICEF solo nel 1989. Diritti come quelli alla vita, alla salute, a una casa, a una famiglia.


PETER PAN


Andando più avanti nella storia della letteratura, ritroviamo un’altra data molto importane: il 1911, anno in cui esce alle stampe il romanzo “Peter and Wendy”, con il personaggio molto fortunato di Peter Pan ideato da J. Matthew Barrie. Romanzo molto più centrato nel genere per l’infanzia, racconta la storia di questo ragazzo, padrone indiscusso e a volte simpaticamente assolutista dell’Isola che non c’è, che una notte, mentre cerca la propria ombra, immagine di per sé significativa, si imbatte in una casa in cui vive una famiglia serena con i suoi tre bambini. La contrapposizione fra un giovane orfano sempre in cerca dell’avventura e di bambini normali che poco prima erano stati rimboccati a letto dalla propria madre è molto forte; questa sensazione di straordinarietà e fascino la sentono anche i bambini in questione e, perciò, decidono di andare con lui a vivere le avventure che l’Isola che non c’è riserverà loro. Possiamo delineare gli elementi per comprendere quali spunti psicoanalitici possiamo trarne: l’ombra -termine che Jung userà per descrivere l’archetipo delle nostre pulsioni più irrazionali e oscure- che viene persa e ricercata dal personaggio, è rappresentazione di una mancanza nella personalità. Ma quel che ricordiamo di più, e che entrerà anche nel linguaggio comune come sindrome di Peter Pan, è la sua particolare paura e incapacità di maturare un’idea di sé adulta: il personaggio, spiega la letteratura psicoanalitica, è impossibilitato a interiorizzare le istituzioni genitoriali e sociali, il Super-Io freudiano, perché appunto egli non ha una famiglia che possa guidarlo nella costruzione di una psiche adulta. Quel che viene tolto al bambino Peter Pan è proprio il non poter diventare uomo, ma è costretto a rimanere per sempre nell’Isola che non c’è a giocare con le fate e combattere Capitan Uncino.




HARRY POTTER

Siamo arrivati al 1998, anno in cui J.K. Rowling pubblica il primo romanzo della saga di Harry Potter, uno dei personaggi della letteratura più conosciuti a livello mondiale, con più di 450 milioni di copie vendute, oltre ai vari film con incassi record. Il giovane maghetto di Privet Drive numero 4 è un bambino di 10 anni che vive con la famiglia della sorella della madre morta, anche lui è costretto a subire atti di bullismo dal cugino e maltrattamenti da parte degli zii. Durante la saga si assiste ad una crescita totale del mondo creato da Rowling che coinvolge parecchi personaggi significativi, Harry Potter scoprirà chi è in realtà e quali sono le grandi gesta di cui sarà capace. Di nuovo, il personaggio questa volta non è solo orfano dei genitori, ma addirittura del proprio mondo, della propria dimensione espressiva e auto-realizzativa. È costretto a vivere in un mondo buio, triste, asfissiante che non lo capisce, ma, anzi, lo allontana, è rappresentazione di un diritto fondamentale che non viene concesso; ricordando la stessa Carta dei bambini, possiamo notare come all’interno sia inserito proprio il diritto alla libera espressione di sé e l’obbligo della società e, in particolar modo, delle figure genitoriali di non ostacolare questo processo. C’è altro da dire: Harry Potter ha in sé qualcosa che gli è estraneo, che non lo fa essere totalmente se stesso, mi riferisco a un pezzo dall’anima di Voldemort, mago omicida dei genitori. Solo quando il personaggio ne verrà a conoscenza, inizierà ad elaborarlo e soprattutto a usare questo sua particolare caratteristica, la personalità inizierà il processo di integrazione. Tutto ciò è una particolarissima metafora di quel che succede a ciascuno di noi: ogni giorno dobbiamo confrontarci con il nostro Voldemort interno, con il nostro lato più oscuro, con la nostra ombra per usare il termine junghiano, più semplicemente con il nostro inconscio. Esattamente come Harry Potter dobbiamo imparare a conviverci e soprattutto ad accettarlo, solo così si può costruire una mente sana e in equilibrio con sé e gli altri. Altro contenuto squisitamente psicoanalitico è l’uso dei sogni, il personaggio è tormentato da visioni scaturite dalla sua parte oscura, come noi lo siamo tutti i giorni; esattamente come faceva Freud per indagare l’inconscio con intenti terapeutici, così Harry, colui che sconfiggerà il più potente mago oscuro di tutti i tempi, scoprirà gli strumenti per adempiere alla sua missione attraverso il sogno. Quel che però permetterà la risoluzione delle dinamiche interiori dello stesso sarà, al posto della famiglia, l’insieme delle figure definibili comunque parentali, partendo dal guardacaccia Hagrid, dal preside di Hogwarts, fino ad arrivare al padrino Sirius Black, senza dimenticare gli amici più cari come Ron ed Hermione.


Abbiamo analizzato l’essere orfani di una società con ripercussioni sulla vita sociale dei ceti più bassi, siamo successivamente passati alla disamina dell’essere orfani di figure parentali con funzione di guida nella crescita dell’individuo, per poi arrivare agli effetti dell’essere orfani del proprio mondo interiore e della possibilità di esprimerlo e soprattutto viverlo. Ma oggi di cosa si è orfani?


QUEL CHE LA PSICOANALISI CI INSEGNA...

La letteratura psicoanalitica ha adottato tre figure mitologiche per descrivere come le modalità di educare e vivere la genitorialità sia cambiata a partire del Secondo Dopoguerra fino ad oggi: Edipo, Narciso, Telemaco.


EDIPO

L’educazione edipica, ispirata da Freud, è tipica di quella società costrittiva che si basava sulla netta differenza generazionale; spesso questo tipo di educazione sfociava in veri e propri drammi familiari a causa dell’eccessiva rigidità delle imposizioni genitoriali, spesso paterne data la struttura tradizione del nucleo familiare. Il contrasto diventa lo strumento con il quale l’adolescente riesce ad emanciparsi dal controllo del padre, per poi diventare adulto e costruire la propria identità, attraverso l’interiorizzazione proprio di quei modelli genitoriali che ha cercato di eludere paradossalmente, o, al contrario, comportandosi in modo totalmente all’opposto.


NARCISO

In linea temporale, quel che segue l’adolescente Edipo è l’adolescente Narciso. Frutto di modelli genitoriali ritenuti eccessivamente rigidi e mortificanti, è un modo di vivere la genitorialità che distrugge i classici ruoli all’interno del nucleo familiare: sempre più spesso vediamo genitori che non si comportano più da tali, ma diventano gli amici del cuore dei propri figli, non svolgono più una funzione istituzionale con rigidi comportamenti, ma sono lassivi e accomodanti con tutte le richieste fatte dai propri “cuccioli”. Se prima le conseguenze negative erano rappresentate da traumi e da una sublimazione di una vita sessuale fortemente ostacolata, ora il problema è ben peggiore. Assistiamo alla nascita di, come afferma uno dei maggiori psicoanalisti italiani quale è Gustavo Pietropolli Charmet, adolescenti fragili, ma allo stesso tempo spavaldi. È il paradosso della personalità narcisista che trova la propria esistenza nella ricerca spasmodica e patologica di approvazione e occhi che li guardino, ma allo stesso tempo si nega l’esistenza interiore dell’altro e del mondo esteriore. Sono figli auto-generati, non hanno genitori, non hanno tradizione, non hanno valori se non il culto di sé, sono delle bombe pronte ad esplodere in qualsiasi momento. Ovviamente la nascita di queste personalità è facilitata e promossa dalla società, sempre più spesso assistiamo a talent televisivi che portano sugli schermi bambini e bambini con particolari “talenti”, le baby star.


TELEMACO

Gli adolescenti di oggi non vogliono più fare questo gioco, si rifiutano di avere genitori che siamo amici del cuore, vogliono il proprio padre e la propria madre. Questo desiderio è stato individuato e sottolineato dal sempre più emergente psicoanalista, anche lui italiano, Massimo Recalcati, il quale chiama questo tipo di adolescente Telemaco. Come il racconto mitologico narra, Telemaco è il figlio di Ulisse che aspetta nella propria casa il ritorno del padre; allo stesso modo gli orfani di oggi aspettano che i propri genitori ritornino da loro con nuove vesti, con nuovi ruoli e che finalmente diventino le guide di cui hanno bisogno e di cui sempre più spesso stanno sentendo la mancanza. Chiedendosi: quando avverrà questo ritorno che mi potrà permettere di diventare realmente uomo o donna? È proprio questo il quesito a cui i genitori sono chiamati a rispondere, ma che tardano a fare.

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