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  • Immagine del redattoreFlorin Madarjac

Razzismo e violenza a 10 anni

Aggiornamento: 12 apr 2020

18 FEBBRAIO 2019. La sera del 18 febbraio Yacoubou Ibrahim, mediatore linguistico immigrato dal Benin nel 1991, viene aggredito in rione Sanità da ragazzini fra i 10 e i 13 anni, i quali con una scusa lo fanno girare e gli spruzzano in viso dello spray urticante che lo porta alla perdita di coscienza. Giornali e alcuni diretti interessati non credono che questa manifestazione di violenza sia di sfondo razziale, ma un segnale di disagio sociale da parte dei ragazzi stessi che è sfociato in un atto prevaricatore la cui vittima era stata selezionata in modo casuale.

Questo episodio tuttavia non risulterebbe antitetico col clima sociale teso e ostile verso gli immigrati che ormai da anni affligge il Paese, dunque non è impensabile analizzarlo come un caso di razzismo. Se fosse tale, la cosa che scandalizzerebbe di più è la giovane età dei protagonisti dell’aggressione, poiché è compresa fra i 10 e i 13 anni. Analizzando cos’è il razzismo, questa sorpresa svanirebbe poiché il razzismo è una forma di pregiudizio, dunque un tipo di atteggiamento sfavorevole verso una determinata categoria sociale, o meglio ancora un insegnamento emozionale che viene impartito fin dall’infanzia, mentre le convinzioni che lo autoconvalidano si presentano maggiormente nell’età adulta. Ciò vuol dire che gli atteggiamenti e i comportamenti di chi circonda il bambino sono fondamentali per la creazione di determinate emozioni intorno , per esempio, alla comunità di immigrati, o magari verso un’altra etnia con quale si è in conflitto, basti vedere l’impiego di giovani soldati in gruppi terroristici quali l’Isis. Questo tipo di apprendimento è difficile da sradicare, anche se da parte dell’individuo c’è il desiderio di liberarsene.

Prima di analizzare come e se è realmente possibile eliminare il pregiudizio dalla mente dell’individuo, è utile analizzare come l’eliminazione degli atti di pregiudizio possano stravolgere il clima socio-culturale in cui ci si trova. Cosa vuol dire combattere le manifestazioni di razzismo? Vuol dire sopprimere quell’atteggiamento diffuso di rimanere passivi e chiudere un occhio su tali eventi, poiché l’assenso è consenso in questi casi. Il potere della denuncia o semplicemente del mettere in discussione il comportamento dell’altro è stravolgente per il clima che si può creare in un determinato contesto, poiché dall’altra parte l’accettazione silenziosa non è altro che un incoraggiamento nell’agire nello stesso modo.

Per quanto riguarda l’eliminazione del pregiudizio, lo sforzo richiesto è di gran numero maggiore; da studi condotti su gruppi sociali diversi, sembrerebbe che un semplice rapporto di convivenza con l’altro non basti ad attenuare il pregiudizio, a volte lo stesso ne può uscire rafforzato, ma è indispensabile il cameratismo, un legame più profondo e intenso della semplice convivenza. Insieme al cameratismo, un’altra strategia per attenuare un pregiudizio è quella di creare obiettivi da raggiungere in comune, unendo le proprie forze e le proprie esperienze. Ma se dunque è possibile attenuare o magari eliminare del tutto il pregiudizio, perché aspettare che un ragazzo, magari della stessa età degli aggressori, arrivi all’età adulta con un pregiudizio radicato e autoconvalidato da convinzione errate, se è possibile eliminare questo tipo di atteggiamento sul nascere? Indispensabile tuttavia è il ruolo che i genitori hanno in questo processo, insieme alla scuola e in genere al clima culturale in cui il soggetto si trova a vivere e a formarsi, perciò indispensabile diventa la messa in discussione di tutta la società di fronte a episodi del genere.

Siamo sempre lo straniero di qualcun altro. Imparare a vivere insieme è lottare contro il razzismo. Tahar Ben Jelloun

Per chiarimenti e approfondimenti sull’argomento vedere Daniel Goleman, Intelligenza Emotiva

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