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  • Immagine del redattoreFlorin Madarjac

Scuola: istituzione o opportunità

Aggiornamento: 24 gen 2021

LA REALTÀ COME COSTRUZIONE SOCIALE


La sociologia, una delle scienze umane la cui nascita possiamo collocare nella seconda metà dell’Ottocento, si pone il compito di indagare la realtà con occhio lucido, senza pregiudizi e con particolari strumenti teorici e concettuali. Non dimenticando che la società in sé non è mai un’entità che trascende l’uomo, ma al contrario nasce da esso e con esso, la sociologia si focalizza su quello che potrebbero essere definiti gli arti della società, ovvero le istituzioni. Per istituzione si intende un insieme di norme e figure accomunate dalla stessa funzione e nella nostra società moderna ne possiamo individuare molte di più rispetto a qualche secolo fa. Una fra queste è sicuramente quella educativa che si oggettiva nell'apparato burocratico della scuola, con le sue peculiarità amministrative, ma non solo.


A COSA SERVE LA SCUOLA?


Nel corso della storia si sono susseguite diverse interpretazioni su come la scuola, sempre se un determinato gruppo sociale ne sentiva il bisogno, dovesse essere fatta: possiamo passare all'educazione orale e informale di alcune tribù africane il cui obiettivo istituzionale è quello della trasmissione della conoscenza necessaria alla sopravvivenza, a un’educazione intrisa di sfumature politiche e ideologiche il cui compito fondamentale è quello di legittimare l’azione di un governo totalitario, se volessimo usare un esempio a noi vicino nel tempo, come la scuola fascista e comunista faceva. Una società per reggersi e sopravvivere alle nuove generazioni deve controllare il cambiamento, sedarlo e a volte eliminarlo, sono tutte dinamiche legate al mondo del controllo sociale e del potere. Forse, come afferma Michel Foucault con la sua microfisica del potere, è proprio la scuola interpretata in questo modo che diventa strumento per eccellenza di costruzione e consolidamento di processi oppressi che durano da millenni. Ma la scuola non è solo questo, la scuola può essere luogo di cultura, di relazioni, di umanità e, grazie a una sensibilità moderna nata con l’avvento del Welfare State, luogo dove nascono aspettative, sogni e opportunità.


SCUOLA DEL PASSATO.


Il progresso è un processo che si basa su rivoluzioni, su scontri fra mondi ideologici e concettuali che a volte non possono neppure parlare con lo stesso linguaggio, e la scuola, immersa in un tempo e in uno spazio, non può esimersi da questa trasformazione continua. Nel corso del Novecento il mondo è cambiato, alcuni principi ,che erano immutati da secoli, iniziano a sgretolarsi: il mondo educativo si adegua a questa corrente e all'interno di questo secolo possiamo denotare un cambiamento nelle funzioni della scuola sia come istituzione, ma anche come luogo che dà opportunità. Di questo processo di trasposizione delle funzioni ce ne parla anche il sociologo Merton, il quale evidenza come in particolari momenti storici di rivoluzioni le istituzioni vengano investite di nuove funzioni manifeste, che magari per secoli erano rimaste latenti. Se fino all'Ottocento il compito cardine era quello di diffondere il sapere, all'uomo moderno del Novecento sta stretta questa situazione e le società investono la scuola di nuove funzioni. La prima grande rivoluzione avviene proprio tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento con le Scuole nuove europee – in particolar modo quella inglese, francese, tedesca e italiana – e l’attivismo americano. Sono due correnti di pensiero molto simili fra loro, forse proprio consequenziali, che spostano l’accento dal “sapere” al “saper fare”: i fondatori di queste scuole guardano con occhio lungimirante alla società e sentono la necessità di dare un’istruzione pratico-professionale ai propri studenti che consenta loro l’opportunità di entrare nel mondo del lavoro e dare una contributo fondamentale alla società per avviare una nuova cultura. Spostandoci verso la metà del XX secolo, l’accento si sposta ancora e la scuola diventa un luogo in cui il discente deve imparare a “saper essere”: corrente psicoanalitica nata da Freud, insieme alla figlia e dai suoi seguaci, che esportano in Europa e in America un modo di intendere l’istruzione come necessità di crescita personale che ha come massimo fine la propria autorealizzazione, come opportunità di avere una vita serena, appagante e propria. Infine l’ultima grande rivoluzione pedagogica nasce dallo strutturalismo dello psicologo statunitense Bruner, il quale ben presto diventa la voce prima della pedagogia d’oltreoceano e non solo, poiché, ispirandosi ai propri predecessori, riprende la lezione dell’attivismo sulla dimensione del fare e la amplia con le moderne scoperte psicologiche. La sua lezione è sintetizzabile nell'espressione “saper imparare”, proprio perché il fine della formazione da lui proposta è quello di dare la possibilità a tutti di imparare qualsiasi cosa, opinione di cui era fortemente convinto, grazie a un’organizzazione e una presentazione dei contenuti didattici attraverso la nozione di struttura, ovvero tutti quegli elementi e concetti che stanno alla base delle singole discipline su cui si reggono le medesime. Certo, il Novecento non è un secolo così lineare come l’ho presentato per motivi teorici, ma, al contrario, è un periodo intriso di contraddizioni e di criticità: diversi autori, secondo un obiettivo descolarizzante, come Decroly e Illich, si pongono in contrasto con il modo di vedere ufficiale della scuola e ne sottolineano tutti gli aspetti negativi nelle dimensioni, rispettivamente, del trattamento della disabilità e del come la scuola promuova una diseguaglianza sostanziale, che in realtà cerca di combattere almeno a un livello formale.


SCUOLA DEL PRESENTE.


Oggi la scuola com'è? La risposta non è semplice, non lo è mai per i contemporanei definire il proprio periodo, ma alcune cose possono essere dette: è una scuola di massa, espressione che nasce per intendere un’istituzione inclusiva e che promuove le pari opportunità attraverso un’educazione all'accoglienza e alla civiltà, che nasce per volontà di uno Stato sociale che si prende cura dei cittadini e promuove le condizioni per la realizzazione delle loro naturali inclinazioni. Ma non è sempre stato così, anzi questa nuova concezione è una conquista contemporanea, proprio perché per molto tempo la scuola era quella di élite, per pochi e di pochi, con la sua struttura piramidale, che man a mano che si saliva negli studi superiori, faceva si che coloro che avevano diritto agli studi fossero un numero sempre più esiguo. La scuola moderna si configura inoltre come: ordinamento pedagogico, con ciò si sottolinea l’attenzione all'infanzia e al bambino come essere diverso dall'uomo; apparato burocratico, diversi studiosi hanno analizzato le sue disfunzionalità come Merton, il quale sottolineò la tendenza a perdere di vista il reale obiettivo della scuola e a concentrarsi su meri aspetti amministrativi e di segreteria; e infine come servizio pubblico, per indicare la volontà di uno Stato, attraverso le varie possibilità che un territorio può dare, di educare i propri cittadini in modo uniforme e chiaro a tutti, anche attraverso contesti informali che occupano parecchio del tempo libero del bambino o dell’adolescente.


LA SCUOLA DEL FUTURO.


Il futuro della scuola è incerto, incertezza nata sicuramente da una politica nazionale e internazionale non sempre chiara e tanto meno stabile, e i due poli fra i quali si sta spostando sono proprio della scuola come mera istituzione burocratica e luogo di incontro interculturale, con diverse dimensioni sociali meno fortunate dal punto di vista economico, sociale e della disabilità come famiglie meno abbienti, di altra nazionalità o con disabili nel nucleo familiare; luogo dove percepire la democrazia e i suoi alti valori etici, ma anche luogo dove imparare a controllare e usare le nuove tecnologie che stanno letteralmente trasformando il nostro modo di intendere la realtà e la cultura stessa. La risposta non è ancora scritta: se, sempre più spesso, sentiamo voci entusiastiche per quanto riguarda le nuove possibilità che la globalizzazione può dare alla scuola in termine di strumenti e scambi interculturali, allo stesso modo vediamo nascere delle criticità per quanto riguarda questi strumenti e il modo di vivere la scuola, sempre più simile a un’azienda, a una tortura dello Stato, a una prigione.



LA SCUOLA DELL’OBBLIGO NON PUÒ BOCCIARE.


Cara signora,

lei di me non ricorderà nemmeno il nome. Ne ha bocciati tanti. Io invece ho ripensato spesso a lei, ai suoi colleghi, a quell'istituzione che chiamate scuola, ai ragazzi che «respingete». Ci respingete nei campi e nelle fabbriche e ci dimenticate. Due anni fa, in prima magistrale, lei mi intimidiva. Del resto la timidezza ha accompagnato tutta la mia vita. Da ragazzo non alzavo gli occhi da terra. Strisciavo alle pareti per non esser visto. Sul principio pensavo che fosse una malattia mia o al massimo della mia famiglia. La mamma è di quelle che si intimidiscono davanti a un modulo di telegramma. Il babbo osserva e ascolta, ma non parla. Più tardi ho creduto che la timidezza fosse il male dei montanari. I contadini del piano mi parevano sicuri di sé. Gli operai poi non se ne parla. Ora ho visto che gli operai lasciano ai figli di papà tutti i posti di responsabilità nei partiti e tutti i seggi in parlamento. Dunque son come noi. E la timidezza dei poveri è un mistero più antico. Non glielo so spiegare io che ci son dentro. Forse non è né viltà né eroismo. È solo mancanza di prepotenza. [...] Per chi lo fate ? La buona fede degli insegnanti è un problema a parte. Siete pagati dallo Stato. Avete le creature davanti. Avete studiato storia. La insegnate. Dovreste veder chiaro. Certo, delle creature vedete solo quelle scelte. La cultura v’è toccata farvela sui libri. E sono scritti dalla parte padronale. L’unica che sa scrivere. Ma potevate leggere tra le righe. Possibile che siate ancora in buona fede? Cerco di capirvi. Avete un aspetto così rispettabile. Non avete nulla del criminale. Forse qualcosa del criminale nazista. Cittadino onestissimo e obbediente che registra le casse di sapone. Si farebbe scrupolo a sbagliare una cifra (quattro, quattro meno), ma non domanda se è sapone fatto con carne d’uomo. Ma per chi lo fate? Che ve ne viene a rendere la scuola odiosa e a buttar Gianni per la strada? Ora si scoprirà che siete più timidi di me. Temete i genitori di Pierino? I colleghi delle scuole superiori? L’ispettore? Se la carriera vi preme tanto c’è una soluzione: truccate un po’ gli scritti, correggete qualche errore mentre passate tra i banchi. Oppure non temete nulla di esterno e di volgare. Temete solo la vostra coscienza. Ma una coscienza costruita male. «Considererei questa promozione lesiva dell’onore e della dignità della scuola» mise a verbale un preside. E la scuola chi è? La scuola siamo noi. Come fa a servirla se non serve noi?

(brano trattato da "Lettera a una professoressa" di Don Milani)


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