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  • Immagine del redattoreFlorin Madarjac

Fare scuola dove la scuola non arriva.

Aggiornamento: 22 lug 2020


In questo particolarissimo periodo storico la società manifesta l’esistenza di alcuni problemi per quanto riguarda la propria presenza come istituzione al servizio del cittadino e le dimensioni colpite sono differenti: economica, sanitaria, assistenziale e sicuramente educativa. Come anche alcuni pedagogisti, che hanno avuto il coraggio di guardare la scuola in modo fortemente cinico e scettico, hanno notato, l’istituzione educativa, pur gridando a voce alta i propri intenti egualitari e di sviluppo delle pari opportunità, alimenta vecchie dinamiche sociali che non intaccano la diseguaglianza sostanziale. Un esempio sono le migliaia di studenti esclusi a causa del covid-19 dalla possibilità di accedere a un servizio scolastico adeguato.


La domanda che nasce in questo momento nella scena pubblica è se sia possibile fare scuola, dove la scuola non può arrivare; la risposta non è per nulla scontata, in entrambe le direzioni. Noi sappiamo che ci sono diversi tipi di contesti formativi: formali, non formali e informali. Se i primi due si dimostrano quasi impraticabili in questo momento storico per motivi logistici, i contesti informali, ovvero tutti quegli spazi che possono formare l’individuo nel suo tempo libero e in modo volontario, sembrano l’ultima spiaggia. Dunque rimane il compito di individuare quali contesti, magari anche virtuali, che la società può usare per educare e istruire.

Sfidando la sensibilità dei genitori e degli insegnanti più tradizionali e meno inseriti nel clima tecnologico odierno, uno degli strumenti che si può usare come surrogato del momento formativo è proprio il videogioco. Ultimamente si sta sempre più diffondendo il concetto di gamification, ovvero l’uso degli stessi per l’apprendimento. E in particolar modo due sono gli aspetti su cui si può lavorare: cognitivo e psico-emotivo. I videogiochi si basano su interazioni virtuali, ma gli oggetti manipolati sono fisici e soprattutto sono costruiti per comportarsi secondo le leggi del mondo reale, ciò permette un’interazione completa e quasi senza limiti, data la grande vastità del mondo grafico. Altro aspetto da non sottovalutare è il fatto che i giochi raccontano storie, come negli esercizi di scrittura creativa, al giocatore viene richiesto di creare da sé una storia su alcune indicazioni generali, immedesimandosi con il personaggio e i contesti che gli vengono man a mano rappresentati.


Altro contesto non convenzionale è quello del mondo dei media, il quale, a partire dal secolo scorso, ha avuto un incremento e degli effetti a dir poco rivoluzionari. Quando parliamo dei media possiamo riferirci a vari strumenti, ma che hanno tutti uno scopo in comune: raggiungere il maggior numero di persone. Scendendo nei particolari, possiamo distinguere i mass-media, strumenti che possono raggiungere un gran numero di persone rispetto ai media cartacei tradizionali e sono per esempio la televisione, la radio e il cinema. Soffermandoci sulla televisione, possiamo notare il suo sviluppo tecnologico, ma soprattutto il suo ruolo nella società e nella vita di ognuno. Umberto Eco, nella sua riflessione su questo strumento, introduce due particolari tipi di comportamento delle reti televisive: in primis c’era quel che l’autore definiva paleotelevisione, ovvero una televisione limitata nel proprio palinsesto e in cui i generi classici dell’informazione e dell’intrattenimento erano chiaramente divisi. Successivamente ci fu l’avvento della neotelevisione, con un palinsesto che copre le 24 ore e in cui il genere predominante è uno, ovvero l’infotainment, un mix tra intrattenimento e informazione, caratterizzante la maggior parte dei talk show odierni. Le potenzialità di questo mass media in ambito educativo sono veramente ampie, basti pensare al fatto che molti italiani hanno imparato la lingua nazionale proprio grazie alla prima paleotelevisione, ma gli esempi possono essere trovati anche in questo periodo con le scelte delle maggiori agenzie televisive di aggiungere dei programmi creati ad hoc per i più piccoli all’interno del proprio palinsesto. Se gli effettivi positivi sono vari, quelli negativi non sono da sottovalutare; uno studio attento ha rilevato come la televisione odierna sia caratterizzata anche da un modo di vedere lo spettatore, non più come tale, ma come consumatore, a cui si possono proporre per tutto l’arco della giornata prodotti commerciali, tutti classificati come indispensabili. Altre conseguenze spiacevoli possono essere l’eccessiva staticità e passività che possono comportare disagi fisici e cognitivi, la nascita di comportamenti aggressivi e una distorsione della realtà che va a ridimensionare il rischio potenziale di alcune situazioni. Se abolire la televisione è impossibile, e ormai anacronistico, è necessario che i genitori sorveglino e guidino i propri figli nella scelta delle programmazione più adatta per la loro età e sensibilità.


Andando avanti con l’analisi degli strumenti mediatici, incontriamo i new-media, ovvero degli strumenti che si appoggiano su basi digitali e informatiche nel loro utilizzo. Simbolo di questo nuovo tipo di strumento è il computer, il cui uso quotidiano sta sempre più aumentando a causa dello smart working e delle lezioni scolastiche o universitarie. Le reazioni nel grande pubblico sono varie, ma la maggior parte delle persone lamenta un’incapacità nell’uso dello stesso e una diffidenza a livello scolastico. Questa è un problematica pedagogica molto attuale, che però nasce già a inizio ‘900 con figure quali il comportamentista Burrhus Skinner e il matematico e psicologo Seymour Papert: entrambi hanno ideato una pedagogia che si basava appunto su un apprendimento guidato e individualizzato che prevedeva delle macchine all’interno dell’azione educativa. In particolar modo, c’è da ricordare il linguaggio programmatico a misura di bambino denominato LOGO che rende l’apprendimento quasi totalmente un’azione autonoma. Ad oggi, legato al concetto di new-media, c’è quello di self-media, ovvero un uso personalissimo e individuale di alcuni strumenti telematici come computer, tablet e pc: quello che stiamo facendo adesso nel gestire alcune attività lavorative ed educative.


Quel che sembra al grande pubblico una contrapposizione inscindibile fra momento scolastico e momento ludico-mediatico, alla pedagogia più moderna e aperta alle nuove tecnologie, sembra una nuova opportunità di creare un sistema pan-educativo che coinvolga il discente a 360 gradi. Il frutto di questa esigenza è la proprio la media education, che non è altro che quella didattica che cerca di chiarire la natura dei media e si impegna a insegnare il loro uso corretto, anche con una visione critica-costruttiva e non più apocalittica. Strumento didattico è proprio la digital literacy intesa come la capacità di manipolare, analizzare e produrre messaggi in forma multimediale: un esempio è l’uso sempre più ampio delle presentazioni PowerPoint nell’odierna pratica educativa. Ma come accade sempre per i nuovi strumenti di una certa importanza che entrano nella vita dell’uomo, è necessario un’alfabetizzazione nell’uso di Internet e dei propri contenuti. Se la presenza di blog, video tutorial esplicativi, ipertesti ed e-book possono permettere un’esperienza educativa più coinvolgente e creativa, il pericolo nasce proprio da questa mole di informazioni che può produrre un information overload, espressione che vuol indicare il possibile sovraccarico di informazioni che possono confondere lo studente in cerca di informazioni. Quantità non vuol dire qualità, infatti uno dei problemi cognitivi che nasce dall’uso e approccio scorretto ai media, e in particolar modo a Internet, sono le fake news, ovvero notizie false appositamente create per avere specifici effetti sociali e anche politici, che colpiscono gli adulti molto di più rispetto ai giovani; in una chiave di risocializzazione, si potrebbe pensare un’educazione che non vada più dall’alto al basso, ma , al contrario, dalle generazioni più giovani a quelle più adulte. Tutto ciò può nascere solo da una didattica e da un’educazione multimediale adatta e che guardi in faccia la potenzialità e la pericolosità dei nuovi strumenti mediatici, senza pregiudizi e atteggiamenti per partito preso.


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