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  • Immagine del redattoreFlorin Madarjac

Un sogno: spiraglio sull'inconscio.

Aggiornamento: 22 lug 2020


Quel che ti andrò a raccontare ora, caro lettore, è un mio sogno. Perdona dunque la possibile irrazionalità del contenuto onirico di cui ho intenzione di parlare a breve. Il mondo dei sogni è una dimensione visiva, poche volte uditiva, dunque non disprezzare, se ti è possibile, la decisione di soffermarmi su dettagli che, alla tua vista, sembreranno insignificanti, ma alla mia, credimi, non lo sono.

La prima scena della nostra rappresentazione teatrale nel mondo dei sogni si ambienta, non senza causa, in un teatro. La descrizione del luogo la possiamo costruire insieme: ora immagina l’ultima volta che sei stato a teatro, i colori, le luci e, perché no, anche gli odori del tuo teatro; comunque sicuramente diverso dal mio. Dopo aver creato lo spazio, ancora una volta ti chiedo di usare la fantasia e immaginarti nella tua solita posizione, con le gambe accavallate, divaricate, di fianco, insomma, come pare e piace a te. Vuoi sapere qual era la mia di posizione? In bilico, esattamente così, stavo ad un angolino dell’emblematica poltrona rossa e, stranamente, mi sentivo a mio agio, in perfetto equilibrio fra il contatto con la materia e il vuoto. Il sogno prosegue e adesso ci focalizziamo sul palcoscenico, questa volta sia metaforicamente sia letteralmente, e vedo che c’è una presentazione di un letterato, non importa al momento chi, anche perché non posso soddisfare la tua curiosità data la fragilità delle tracce oniriche. Ritorniamo a noi, la modalità con cui veniva presentato era particolare e assai moderna: attraverso uno schermo, nemmeno un relatore, neppure una voce, dunque, nessuna relazione, solo uno schermo. La platea inizia ad agitarsi, ad annoiarsi del fatto che debbano leggere delle parole su uno schermo, si lamentano della pesantezza della improbabile rappresentazione teatrale e cercano di interrompere la stessa. Ad un tratto, sento perdere quel equilibrio precario che avevo acquisito sulla poltrona, cerco di allontanarmi dal vuoto e dunque evitare una sicura caduta, ma non mi riesce. Lo spazio che avevo lasciato era occupato, il mio personale spazio era ormai preso. Ricordi l’ultima volta in cui qualcuno ha preso senza permesso una tua cosa? Magari un fratello o una sorella che si è appropriato di una tua maglietta, o magari un automobilista che ha preso l’ultimo posto per parcheggiare che un vostro amico o familiare ti aveva tenuto. Ecco, quel che provi, io l’ho sentito nel sogno. La reazione? Nessuna, il motivo è semplice: colui che si era appropriato del mio spazio personale era un vecchietto, molto dolce e con quel aria di serenità che chi solo ha compiuto una certa età può permettersi. Impossibile chiedere a qualcuno, sebbene lo stesso stia creando un disagio evidente, di una certa età di cambiare qualcosa, di lasciare quel che è mio per diritto.

Me ne devo andare, devo tornare nella mia stanza e portare immediatamente la chiave al mio compagno di stanza. Scusami per la brusca rottura, ma non è questa la modalità con cui sogna il nostro cervello? L’ambientazione questa volta è una foresta, sicuramente il pensare di trovarsi in un luogo del genere è più piacevole rispetto allo stare in un angusto e affollato teatro, prova. Corro per la foresta, sento il vento che viene verso di me, vedo le luci dei raggi del sole che sbucano fra un ramo e l’altro. D’un tratto mi fermo di fronte una roccia, ma io so bene che in realtà sotto c’è un’apertura che può portare a una caverna e, per una qualche onirico motivo, alla luce e a dove devo andare. Com’è curiosa la certezza delle nostre convinzioni all’interno del sogno, dopotutto il mondo creato è solo nostro, siamo il Dio creatore di quel luogo. Inizio ad entrare nella fessura, l’aria limpida viene meno, tutto è avvolto da ombre e dal buoi, ma, come ben sapevo, c’è una luce all’apice della parete rocciosa. L’unica cosa da fare era scalare, sfortunatamente la mia mente ha deciso di costruire una roccia bagnata e scivolosa, sicuramente è capitato anche a te di dover toccare con il palmo una superficiale del genere, allora puoi capire ciò che provavo. Inizio a scalare la roccia, più salgo più mi è difficile continuare, le vertigini aumentano, la testa mi scoppia, perdo i sensi e cado. Sono di nuovo davanti alla roccia, io devo scalarla, devo portare la chiave che permetta al mio compagno di entrare. Ricomincio, ho paura di cadere, ma devo farlo e questa volta ho la certezza che ce la farò, ricordi quel che ti ho detto della sicurezza che le nostre azioni acquistano nei sogni? Non mi sbagliavo, e infatti la luce è sempre vicina, sto quasi per toccarla, mi mancano pochi centimetri per arrivare in superficie.

Sono in una via e davanti a me c’è il mio compagno di camera. Gli chiedo scusa per il ritardo e cerco la chiave per dargliela, ma lui mi dice, o per meglio dire la mia mente mi dice per mezzo suo, che non ce n’è più bisogno, aveva fatto in altro modo. Mi pone inoltre una domanda: “Non sarebbe meglio che ognuno di noi avesse questa chiave, così senza dover dipendere da altri?”. Non ci sarà una risposta, la mia attenzione si focalizza su quello che ha in mano, ovvero un libro di filosofia, perché a breve avremmo dovuto fare una lezione. Se strabiliante è la certezza delle nostre idee, lo è sicuramente di più il fatto che compaiono all’improvviso, senza che vengano chiamate o richieste. Dunque il sogno si ferma e io mi sveglio.

Il significato? Mi dispiace deluderti, ma non lo conosco. Tuttavia scrivendoti sono riuscito a fare qualche associazione. Ma il filosofo inglese Francis Bacon non aveva parlato di un idolo del teatro, per indicare quelle vecchie filosofie e speculazioni che si fissavano in profondità nell’intelletto umano e gli impedivano di giungere alla conoscenza? E lo stesso Platone non ci aveva tramandato il mito della caverna, secondo il quale un uomo era riuscito a liberarsi dalle proprie catene per giungere alla luce del sole e vedere le cose come sono realmente, eliminando dunque le false rappresentazioni? Forse non siamo più abituati a leggere i nostri sogni, le popolazioni antiche conoscevano bene l’importanza di queste immagini auto-create, ed è per questo che sempre più spesso siamo incapaci di leggerci.


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