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  • Immagine del redattoreFlorin Madarjac

Sull’importanza delle emozioni, fondare la propria realtà sull’amore e sulla tristezza.

Passando attraverso le maschere di Pirandello e le teorie del conflitto della sociologia.

“Uno, nessuno e centomila” è uno dei romanzi meglio riusciti del premio nobel per la letteratura Luigi Pirandello, autore vissuto fra la fine del ‘800 e l’inizio del ‘900. Con numerose ristampe e notevoli apprezzamenti da parte della critica si classifica come una delle più importanti opere dell’intera letteratura contemporanea. È la storia di un uomo, per nulla pragmatico e interessato agli affari, che un giorno scopre di non essere chi ha sempre creduto di essere. La sua intera esistenza, e insieme alla sua molte altre, non sarà più la stessa dopo la scoperta destabilizzante che il suo aspetto fisico non è come ha sempre creduto che fosse per un’intera vita. Se io da sempre ho creduto che gli altri vedessero nel mio stesso modo i semplici connotati fisici e ho scoperto che ciò non è vero, allora qual è la reale rappresentazione di me come persona che vive e agisce nella vita quotidiana e in società? Questa è una delle domande che si pone il protagonista e a cui non dà risposta, poiché arriva alla conclusione, nel momento in cui decide volontariamente di impazzire, che nulla può essere vero, nemmeno quelli che vengono chiamati fatti, termine usato per indicare le situazioni più oggettive.

Con molta intelligenza e con occhio lucido, l’autore intuisce quelle caratteristiche che potrebbero far combaciare la vita sociale al palcoscenico di un teatro: egli sostiene che ognuno di noi indossi delle “maschere” fisse, ovvero adotti tratti comportamentali standardizzati dalla società, che portano a inscenare nella vita situazioni pre-costruite e stereotipate. La sociologia, con gli studi e le scoperte di autori come Alfred Schutz, fondatore della scuola fenomenologica, e successivamente approfondite da Peter Berger e Thomas Luckmann, rivela come le interazioni sociali avvengano attraverso fenomeni di negoziazione fra “tipi”, concetto simile a quello delle maschere pirandelliane, e che il comportamento dei partecipanti venga dirottato dalle caratteristiche di questi stereotipi; ciò può essere inoltre esteso alle medesime situazioni, dunque avere momenti di vita quotidiana perfettamente codificati da regole sociali che non lasciano spazio all’iniziativa personale. Basti pensare all’espressione “trasposizione delle mete” coniata in campo burocratico da Robert Merton, per indicare una personalità eccessivamente rigida e legata al processo di burocratizzazione dovuta all’inevitabile razionalizzazione della società industriale avanzata. Una teoria più vicina al mondo di Pirandello è quella nata nel grembo dall’approccio drammaturgico di Erving Goffman: secondo cui ognuno recita delle parti, ovvero inscena ruoli diversi su un palcoscenico –che è la nostra vita sociale- e una volta tornato alla vita quotidiana, abbandona queste maschere e ritorna a quel che è la sua reale personalità.

Altro elemento su cui l’intera opera letteraria dello scrittore si focalizza è la comunicabilità fra le persone, o per meglio dire l’impossibilità di comunicare in modo sincero e concreto fra le persone. Ciò è meglio evidenziato in scritture teatrali come “Così è (se vi pare)” o “Il piacere dell’onestà”. La sociologia definisce il linguaggio come un’opera di oggettivazione di un mondo soggettivo che può avvenire solo se esiste un codice di significati fra i protagonisti della comunicazione; ciò è avvalorato delle considerazioni fatte da Herbert  Blumer sui principi base dell’interazione fra persone, che, secondo lo stesso, sono: comportamento in base a significati e processo di interpretazioni di questi ultimi. Da ciò si può capire come la nostra intera esistenza comunicante con gli altri sembra costruita su un castello fatto di carte, che da un momento all’altro potrebbe crollare e mostrare il vuoto dell’impossibilità di comunicare se stessi e la propria realtà, come spesso accade ai personaggi che vivono il palcoscenico pirandelliano.

Ultimo elemento caratterizzante la poetica dell’autore è la relatività della conoscenza, ovvero come le nostre rappresentazioni della realtà risultino falsate e vuote, per tutti i motivi precedentemente analizzati. Ma altri elementi, che esulano dalla ricerca letteraria fatta dallo scrittore siciliano, sono evidenziati dalla ripartizione delle conoscenze evidenziata dai sociologi austriaci naturalizzati statunitensi Berger e Luckmann nel celebre saggio “La realtà come costruzione sociale”. Nell’opera viene dimostrato come ognuno formi la propria conoscenza in base ai propri interessi pratici e che tutto il resto sia frutto di esigenze problematiche o casualità, in modo poetico affermano : “La mia conoscenza è come uno strumento che apre un sentiero attraverso una foresta e, mentre lo fa, proietta un ristretto cono di luce su ciò che si trova davanti e immediatamente intorno: su tutti i lati del sentiero continua a dominare l’oscurità.”

L’opera letteraria di Pirandello e gli studi sociologici distruggono una visione del mondo che mette come punto cardine la relazione autentica e soddisfacente fra le singole interiorità che si esprimono all’esterno attraverso  un’interazione umana su cui non si può dubitare. Dimostrano come la realtà sia frutto di codici comportamentali creati e inculcati dalla società per standardizzare situazioni e individui. Chiunque, arrivato a questo punto, potrebbe pensare su quali certezze posso dunque edificare la propria intera esistenza.

Una possibile soluzione potrebbe essere quella proposta da Schopenhauer che, durante la ricerca al suo noumeno, parte dell’esperienza dell’esistenza del proprio corpo, poiché sì ci vediamo dal di fuori, ma ci viviamo anche dal di dentro. Questa scoperta, che potrebbe risultare scontata all’uomo civile moderno, ci porta verso quelle discipline che studiano con la propria specifica lente d’ingrandimento l’uomo: la psicologia e la neurologia. Se possiamo dubitare delle relazioni sociali, anche quelle più intense come quelle lavorative, parentali o magari addirittura dell’amicizia e del matrimonio, a causa di tutti gli stereotipi e operazioni di interpretazione dell’altro, non possiamo dubitare delle emozioni vissute nell’hic et nunc, non posso dubitare di star amando il mio partner, non posso dubitare di sentire le farfalle nello stomaco appena intravedo la persona di cui sono infatuato, non posso dubitare del calore proveniente da un abbraccio di un mio amico nel momento del bisogno. Ancora una volta, quel che ci rivela la strada per andare avanti è la nostra vita interiore, le nostre emozioni, anche  quelle che non vorremmo provare e di cui abbiamo paura.

“Abbiamo due menti, una che pensa, l’altra che sente. Queste due modalità della conoscenza, così fondamentalmente diverse, interagiscono per costruire la nostra vita mentale.” DANIEL GOLEMAN
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