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Sul prigioniero come malato psichiatrico e viceversa: il fine ultimo di prigioni e manicomi.

  • Immagine del redattore: Florin Madarjac
    Florin Madarjac
  • 26 mar 2020
  • Tempo di lettura: 3 min

Aggiornamento: 25 lug 2020

Ogni società istituisce norme sociali e giuridiche che regolano l’esistenza dei propri cittadini e, di conseguenza, tende a conservare le stesse con la maggior efficacia possibile. Tuttavia esistono dei casi, numerosi a dire il vero, in cui queste regole, leggi, imposizioni vengono deliberatamente infrante: si tratta dunque di devianza. Il significato di questo termine, coniato dalla sociologia, è molto semplice, ovvero ogni comportamento non conforme ai canoni di normalità e liceità di una certa società. Le cause che possono spingere un individuo a commettere un’azione deviante possono essere fra le più svariate, ma spesso si possono ricondurre a motivi economici, poiché la società promuove l’interiorizzazione di scopi e obiettivi i quali non tutti possono raggiungere con mezzi leciti, o per appartenenza a una subcultura governata da proprie regole di condotta, per esempio un’ambiente mafioso accetta comportamenti che una società istituzionalizzata contrasta fortemente.

Il controllo sociale di questi individui anormali, asociali e in linea generale diversi ha subito diversi sviluppi nella storia. La prima forma di controllo era il supplizio, e fra le tecniche più diffuse ritroviamo la tortura. Essa fino al XVIII secolo era stata considerata una pratica legittima e fortemente giustificata dall’opinione pubblica, data la funzione catartica e giustificatrice della violenza nel sistema giudiziario; permetteva di trovare della razionalità in comportamenti istituzionali che non ne possedevano e, dunque, di rassicurare le persone normali. Successivamente diventa pratica barbara, incivile e fine a se stessa. A gran voce le tesi di Beccaria, ma anche degli stessi Montesquieu e Voltaire, vengono diffuse per l’intera Europa e inizia una parziale perdita di consensi di questa pratica. Si arriverà finalmente nel 1987 con la Convenzione di Ginevra con la quale la tortura verrà combattuta a livello internazionale e istituzionale , come azione politica di reazione agli orrori e alle stragi dei sistemi totalitaristici del ‘900. Sfortunatamente gli attentati terroristici compiuti negli USA hanno dimostrato come questa pratica venga ancora usata in Paesi definiti altamente democratici e liberali. Se per l’opinione pubblica la tortura diventa illegittima, tuttavia viene ancora considerata necessaria da molti. La trasformazione a cui stiamo assistendo di questa pratica è sottile e specialistica, ovvero nascono figure altamente specializzate come psicologi e psichiatri che diventano carcerieri e interrogano loro stessi o chi per loro i sospettati. Un esempio eclatante è il carcere di Guantanamo con la formazione dei conduttori degli interrogatori da parte degli psicologi James Mitchell e Bruce Jessen.

Oltre a queste singole pratiche, seppur diffuse, sono nate delle vere e proprie istituzioni finalizzate al controllo della diversità e della devianza: prigioni e manicomi. Le loro nascite hanno in comune la volontà di isolare determinati individui, ritenuti anormali – spesso la distinzione fra criminali e malati mentali non aveva alcuna importanza – dai buoni cittadini. Entrambe le istituzioni sono definite totali poiché si appropriano in modo totale del tempo e delle attività dei detenuti/pazienti, con il risultato di impoverire e svalutare la personalità di questi ultimi. Altro elemento in comune è per esempio l’enorme sforzo economico e umano impiegato nella sorveglianza costante di chi è costretto a vivere in questi luoghi, in cui la privacy e la propria persona sembrano eclissarsi totalmente. La cosa potenzialmente più pericolosa è il fatto che, man mano che la psichiatria ha fatto la sua comparsa nel mondo sanitario e scientifico, carceri e istituti di sanità mentali abbiano iniziato ad usare medicinali e tecniche specifiche per controllare il corpo e la psiche degli internati. È caratteristico come in parallelo si sia sviluppato un movimento denominato anti-psichiatria, il quale sottolinea come questa disciplina medica venga impiegata per mantenere il controllo su individui devianti come malati e criminali e non come cura. Allo stesso tempo sottolinea come alcune malattie definite psichiatriche, in realtà possano essere dei nuovi modi di vedere e reagire alla realtà, fuori dai normali schemi mentali.


La sociologia spiega come ogni istituzione abbia funzioni manifeste e latenti. I manicomi, come anche i carceri, hanno la funzione manifesta di recuperare i pazienti e i carcerati – dunque la differenza storica fra malato e criminale sembra di nuovo assottigliarsi – per poterli reinserire in società quando ciò è possibile (forse esiste una simil malattia terminale anche per i criminali?). Ma attraversato il velo delle dichiarazioni pubbliche delle istituzioni e delle classi dirigenti, sembra che l’uomo non abbia fatto un passo in avanti rispetto alle funzioni latenti delle vecchie prigioni destinate agli eretici, agli stranieri, ai diversi o ai manicomi come luoghi di tortura psichica per chi vedeva la realtà in un modo particolare, originale, di nuovo, diverso.




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Ogni società, una volta definiti i criteri, invero sempre incerti, che permettono di designare il folle, gli riserva una tolleranza che è infinitamente variabile secondo i tempi e i luoghi. ~Romano Canosa

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