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Perché il concetto di immigrazione non ha più senso di esistere

I flussi migratori e la diffusione su scala mondiale di agglomerati urbani sta portando le persone a doversi confrontare sempre di più nella propria quotidianità con culture, e rispettivi usi e costumi di tutto il mondo. Tutto ciò va ad intensificare quel fenomeno socio-culturale che gli esperti definiscono globalizzazione: si tratta di un mutamento globale nella visione dei popoli e delle proprie identità culturali. Connesso a questo concetto è quello di villaggio globale; l’antropologia lo ha coniato per indicare come determinate produzioni culturali (musica, capi di abbigliamento, linguaggi) non possano essere più contestualizzate in un unico luogo o popolo, ma sono sparse per tutto il globo. Esempi esemplificativi sono i “non luoghi”, ovvero aeroporti, hotel, ristoranti con le medesime caratteristiche in qualsiasi nazione in cui ci si trovi, che danno un senso di sicurezza e familiarità al cliente e, in generale, al fruitore.

Questo fenomeno, che investe la maggior parte delle dimensioni e degli ambiti sociali, suscitata da una parte ottimismo, e viene accolto con entusiasmo, dall’altra parte desta paura a causa del timore di perdere la propria identità nazionale e culturale. Indubbio è il beneficio che porta al campo scientifico per quanto riguarda la possibilità di confrontarsi all’interno della comunità scientifica per poter progredire nella ricerca; anche se, come è stato già affermato dal filosofo Kuhn, i nuovi “paradigmi”, dunque le teorie rivoluzionarie, vengono adottati spesso per la capacità persuasiva del ricercatore e non tanto per il carattere oggettivo degli stessi. Altro ambito che ha avuto benefici è quello scolastico, non a caso già dagli inizi del Novecento con le “Scuole Nuove” europee ci furono le prime forme di scambi interculturali; lo stesso ambito scolastico che ha la possibilità di confrontarsi sui migliori metodi di insegnamento non solo per quanto riguarda le lingue, ma anche sui laboratori scientifici fruibili online fra i tanti. Da un punto di vista politico, i mass media ci permettono di conoscere le varie vicende che accadono nel mondo come l’incendio devastante in Amazzonia o in Australia, i movimenti cinesi rivoluzionari, la creazione di ghetti islamici in cui regna la violenza e i soprusi da parte del governo cinese. Altro vantaggio squisitamente umano è l’appagamento di aspirazioni cosmopolite, per cui l’individuo può sentirsi a proprio agio ovunque si trovi nel mondo, essendo comunque a contatto con culture molto diverse dalla propria.

Questo contatto può, tuttavia, portare a conseguenze più o meno originali e problematiche. Alcuni popoli tribali del Sud America e dell’Africa hanno risposto al fenomeno della globalizzazione con quello che viene definito dagli antropologi come indigenizzazione, ovvero la rivisitazione di prodotti culturali provenienti dall’estero: determinate tribù usano la Coca-Cola nei loro riti religiosi, altre usano ombrelli con famosi marchi automobilistici come simbolo di ricchezza e prestigio sociale. Il rischio di questa risposta culturale è la perdita di forme e funzioni originali appartenenti ai prodotti autoctoni com’è in corso in Sud America, in cui alcuni popoli, famosi per tavole artigianalmente decorate, stanno iniziando a raffigurare immagini estranee al proprio contesto per venderle ai turisti come souvenir. A livello religioso sono nate rielaborazione di culti nei quali sono presenti forti influenze occidentali come i “culti del Cargo”, per i quali si attende la venuta di questo aereo, nave, o altra forma di imbarcazione straniera piena di oggetti e prodotti appartenenti alla cultura europea.

Dunque le teorie portate avanti dai più conservatori e dalle destre nazionali, secondo le quali la globalizzazione porta alla perdita dell’identità culturale di una nazione, non sembrerebbero essere così prive di fondamento. A livello pratico queste teorie si esprimono attraverso forme di intolleranze più o meno violente o tentativi di condizionamento sociale finalizzati al creare tensioni contro le minoranze, specialmente verso quelle etniche: ne sono un esempio le varie campagne elettorali portate avanti dalle estreme destre e, in generale, dai conservatori più spregiudicati.

Una cosa è certa: la globalizzazione è un cambiamento inevitabile e irreversibile, quel che spetta all’uomo è adattarsi il più serenamente possibile. Per supportare questo processo, occorre l’intervento della scuola che, attraverso scambi culturali, progetti all’estero e collaborazioni con altre scuole straniere, possa mettere in contatto persone in un ambiente privo di influenze politiche e tensioni sociali. Altre soluzioni potrebbe essere i progetti internazionali di formazione, tuttavia queste hanno un costo elevato e con pochi posti a disposizione. Quel che realmente occorre è un contatto che coinvolga il maggior numero di persone. Fino ad allora la globalizzazione sembrerà qualcosa di lontano, appartenente alle élite e nemico del popolo; verosimilmente quel che affermano le forze nazionaliste e conservatrici.

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